Giuseppe De Marzo

Responsabile politiche sociali di Libera

Il 24 maggio è stato il giorno di “sovrasfruttamento” della Terra. Vuol dire che l’umanità ha finito di consumare tutte le risorse che il nostro pianeta è in grado di produrre, organizzare e rigenerare durante l’anno. Abbiamo finito in anticipo la disponibilità annua di risorse. Il fatto che in molti in Occidente non comprendano cosa questo voglia dire e quanto sia grave, fotografa il disastro culturale, umanitario e ambientale prodotto da decenni di politiche neoliberiste e la sterilità delle attuali proposte in campo contro la crisi. Che succede se già al 24 maggio abbiamo sfruttato le risorse e i servizi ambientali gratuiti che la Terra ci mette a disposizione? Succede che dal 25 maggio sino al 31 dicembre aumenteranno le ingiustizie sociali e ambientali, cresceranno disuguaglianze e povertà, verrà persa quella fondamentale biodiversità in grado di garantire la riproducibilità della vita, umana e non. Anche quest’anno, sempre prima, e sempre peggio.

Il modello neoliberista ha iniziato a contrarre il suo deficit ecologico già negli anni ’70. Da quel momento viviamo un costante peggioramento delle condizioni ambientali e sociali del pianeta a causa di un modello produttivo e industriale ancora fondato sullo sfruttamento illimitato delle risorse, sull’idea della crescita economica infinita e sulla necessità di creare eserciti di mano d’opera di riserva attraverso forme di precarizzazione e sfruttamento del lavoro.

Questo teorizza il sistema neoliberista.

Mai come oggi è necessario e urgente cambiare radicalmente rotta, vista l’insostenibilità politica e sociale di un modello di sviluppo che è inadeguato a rispondere alle domande forti legate alla stessa sopravvivenza dell’uomo sul pianeta. La giustizia ambientale è la precondizione per la giustizia sociale. É questa la prima risposta. Ma non basta, nonostante di per sé renda obsolete tutte le visioni classiche e neoclassiche dell’economia.

Abbiamo capito e compreso come, per fare giustizia, dobbiamo allo stesso tempo rispondere alla richiesta di giustizia che ci arriva dalla natura non umana, essendo questa che garantisce la riproduzione della vita e l’accesso alle risorse necessarie allo sviluppo umano.

La giustizia ecologica diventa l’architrave su cui costruire un nuovo paradigma di civiltà, ripensa il modello produttivo e di sviluppo in funzione della capacità di garantire la continuità della comunità biotica. Il riconoscimento dei Diritti della Natura come precondizione per garantire e soddisfare i Diritti Umani. Il passaggio dal dominus al frater, non per scelta di fede ma perché finalmente si riconoscono la “relazionalità”, la “reciprocità”, la “corrispondenza”, la “complementarietà” tra ogni essere senziente e non sul pianeta.

Il Buen Vivir promuove dunque una vita in armonia con la Natura, di cui l’essere umano e la sua comunità sono parte, e non il centro. Passiamo così dall’antropocentrismo radicale praticato dal modello neoliberista, la cui crisi si deve proprio alla visione meccanicistica e al rifiuto dei limiti imposti dal pianeta e dal suo metabolismo sociale, ad un’idea della giustizia fondata sul riconoscimento del diritto della vita alla vita. Un passaggio rivoluzionario: la liberazione dell’uomo e della donna è legata alla liberazione di Madre Terra.

Tra quanti si rivedono nella visione legata al Buon Vivere – costruito attraverso decenni di lotte e di conflitti praticati innanzitutto dalle nuove soggettività politiche nate in risposta all’assenza di visioni all’altezza della sfida – e quanto teorizzato da papa Francesco nella Laudato Si’, vi è una naturale e armoniosa continuità di intenti e di visioni. La consapevolezza dell’insostenibilità del modello neoliberista e la necessità di ricostruire un’etica della giustizia fondata sul diritto della vita alla vita li mettono sullo stesso piano. C’è dunque un campo ampio da poter costruire. Un’alleanza della vita per la vita.