“Avvenire”, Transizione ecologica attenuata. Così non serve né salva l’Italia, articolo di M. Agostinelli, G. Viale, V. Colmegna, D.Padoan e E. Molinari

L’intrecciarsi di crisi climatica e pandemica ci sta mostrando che non è possibile una crescita economica senza limiti, che non a ogni problema si può trovare una soluzione puramente tecnica.

“Nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Senato, lo scorso 17 febbraio, il presidente Draghi ha richiamato le parole di papa Francesco pronunciate in occasione del quinto anniversario dell’enciclica Laudato si’: «Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento». L’affermazione del pontefice, che indicava la necessità di agire subito per fermare la catastrofe climatica e la possibile estinzione del genere umano, continuava con una domanda non eludibile: «Anche nella casa comune, nella terra, anche nel nostro rapporto con la gente, con il prossimo, con i più poveri, come possiamo ripristinare questa armonia? Abbiamo bisogno di un modo nuovo di guardare la nostra ‘casa comune’. Ma intendiamoci: essa non è un deposito di risorse da sfruttare». Sono parole che da sole costituirebbero un programma politico. L’ecologia integrale delineata nell’enciclica impone di improntare i comportamenti individuali e collettivi a una sobrietà e a un senso del limite che abbiamo perso, pagando con l’alienazione che viene dall’aver dimenticato la nostra condizione di viventi tra viventi, abitanti di uno stesso pianeta. Eppure l’enciclica rischia di essere trasformata in un espediente retorico utile a mascherare prassi che mirano a conservare le cose esattamente come sono o, addirittura, ad accelerare la corsa verso la rovina della «casa comune» da cui quel testo cercava di mettere in guardia l’umanità.

L’audizione del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – che lo scorso 16 marzo ha presentato il suo programma di lavoro davanti alle commissioni congiunte Ambiente e Attività produttive di Camera e Senato – è stata la prima occasione per provare a comprendere gli intendimenti effettivi dell’esecutivo su questa materia così stringente, su cui sono chiamati a misurarsi i governi della comunità internazionale. Il recente passato del ministro, transitato dall’Istituto italiano di tecnologia (Iit) ai vertici di un’industria ormai specializzata quasi esclusivamente nella produzione e nella vendita di armi, dava adito a qualche preoccupazione e forse persino a qualche pregiudizio, ma abbiamo fortemente apprezzato gli aspetti positivi del suo intervento, dall’esplicito impegno a perseguire una maggiore giustizia sociale al riconoscimento della generale interconnessione di tutti gli aspetti delle nostre esistenze; dalla conferma dell’obiettivo dell’eliminazione graduale (phase- out) dell’uso del carbone entro il 2025 all’invito ad adottare una dieta meno dipendente dalle proteine animali, anche come contributo alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Ci sono però motivi di allerta per la visione presentata in quell’intervento, a cominciare dalle assenze. Non c’è alcun riferimento, al di fuori del passo citato, al peso degli allevamenti industriali. Non una parola sulla biodiversità e sulla nostra necessità di riconciliarci con gli habitat naturali e con il vivente. Nulla sulla riduzione dei consumi energetici (sufficienza e risparmio), benché tutti gli esperti del settore abbiano chiaro che questa è la principale ‘fonte energetica’ di un assetto sostenibile che, a parità di benefici, potrebbe portarci a una riduzione dei consumi fino al 40%, e ancor più, se a essa venisse abbinata una conversione dei nostri stili di vita opulenti (per chi se li può ancora permettere). Le cifre, in termini di megawatt, su cui si basano le ipotesi presentate da Cingolani, non incorporano nessuna misura di contenimento sostanziale dei consumi energetici del nostro Paese. Nessuna proposta concreta di partecipazione della popolazione, delle comunità locali, delle associazioni civiche e ambientaliste o delle organizzazioni sindacali all’elaborazione e all’attuazione della transizione. Nel suo intervento, il ministro si è limitato a garantire una periodica consultazione delle Commissioni parlamentari.

È significativo che il termine adottato dal nuovo Ministero sia ‘transizione’ (dalla situazione attuale a quella di un Paese ‘decarbonizzato’) e non ‘conversione’, il termine che ricorre nella Laudato si’ per ricordare che non si può salvare la «casa comune» senza un profondo coinvolgimento personale di ciascuno e della comunità. Si può leggere in questo senso il fatto che non venga mai indicato chi farà che cosa: la ‘gente’, il popolo, le associazioni, le comunità, le autonomie locali? O la grande impresa e i nostri enti multinazionali, le cui tecnostrutture prenotano ora le quote di climalteranti che saremo ancora costretti a tollerare, mentre perpetuano un mix di modelli energetici, pur di mantenere in vita i fossili? La preoccupazione diventa aperto dissenso quando il ministro passa a esaminare il tema scottante dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad). «Ovvio – ha affermato – che è un controsenso incentivare qualcosa che va contro le nostre idee di decarbonizzazione, ma siamo in piena crisi e dobbiamo essere sostenibili anche nelle decisioni». L’attuale crisi economica sembra però destinata a durare a lungo, in base all’ipotesi sempre più concreta di una ‘stagnazione secolare’, dunque le misure necessarie alla decarbonizzazione potrebbero essere rimandate all’infinito, mentre si continua intanto a incentivare e detassare i sussidi alle fonti fossili anziché eliminarli e affrontare da subito le esigenze dei lavoratori che da questi tagli sarebbero danneggiati.

Il programma del ministro per la Transizione ecologica perde ulteriormente credibilità quando esplicita un totale affidamento a due tecnologie inesistenti e inconsistenti. La prima è il sequestro di carbonio (Css), mai nominato ma implicito nel riferimento all’«idrogeno blu» come soluzione praticabile in attesa che diventi economicamente competitivo l’«idrogeno verde» da fonti rinnovabili. La seconda è la fusione nucleare, un progetto che in cinquant’anni ha divorato decine di miliardi promettendo sempre di diventare operativo in un breve lasso di tempo, ma che per Cingolani, miracolosamente, si potrebbe concretizzare in dieci anni, quando «i nostri successori parleranno di come abbassare il prezzo dell’idrogeno verde e di come investire sulla fusione nucleare». Avremmo a disposizione, a quel punto, quantità infinite di energia – quella che tiene in vita le stelle – rendendo così meno necessario un passaggio accelerato alle fonti rinnovabili: sole, vento, onde e geotermia. Ma nel frattempo, aspettando Godot, le cose continueranno a procedere per il loro verso. Non ci sarebbe bisogno della conversione chiesta da Francesco, ma solo di una ‘transizione’ attenuata in cui gli interessi costituiti – quelli del gas, se non anche del petrolio – seguiranno a dettare le nostre politiche energetiche, mentre si apre la corsa a investire i miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) messi in campo per attuare una riconversione del modello produttivo in senso ecologico.

Non è un caso che il Piano per le aree idonee alla ricerca ed estrazione di idrocarburi (Pitesai), di cui il ministro ha annunciato il varo a fine settembre, sia stato immediatamente salutato dalla Camera di commercio e da Confindustria Romagna come un «cambio di passo decisivo per il comparto offshore ravennate, verso la scelta strategica di continuità nella produzione nazionale del gas». «La terra non è un deposito di risorse da sfruttare», aveva detto Francesco. E la Laudato si’ chiede il superamento del ‘paradigma tecnocratico’, della cultura estrattiva e della convinzione che l’intera realtà sia infinitamente disponibile alla manipolazione da parte dell’essere umano, totalmente consegnata al suo arbitrio. L’intrecciarsi di crisi climatica e pandemica ci sta mostrando che non è possibile una crescita economica senza limiti, che non a ogni problema si può trovare una soluzione pura- mente tecnica, che non esiste una neutralità che non disturbi gli interessi costituiti, e ci impone di interrogarci sul senso di ciò che facciamo, sulla necessità di modificare radicalmente i criteri in base ai cui agiamo. È quello che ci saremmo aspettati da un governo che al suo nascere si è dichiarato ambientalista.

«Non si può scendere a patti con le leggi della fisica. Abbiamo bisogno di azioni immediate e concrete», ha affermato il 19 marzo il movimento Fridays for Future, in occasione dello sciopero globale per il clima. È in gioco il futuro della nostra comunità di umani, per questo è necessario uscire dal chiuso degli uffici e permettere alla società civile non solo di dare pareri su scelte fatte nei luoghi del potere, ma di essere protagonista di quelle scelte. Si apra un forte dibattito e si vedrà quanto è capace di visione e propulsione quella comunità di persone, di donne e di giovani, che, priva di reale rappresentanza, ha forza e competenze per immaginare un futuro di giustizia e bellezza, traducendo in politica l’ecologia integrale. Il governo potrebbe cominciare con il tirare fuori dal cassetto la legge di iniziativa popolare sull’acqua bene comune – ferma in Parlamento a dieci anni dal referendum (uno scandalo per un Paese democratico) e a vent’anni dalla risoluzione Onu sull’acqua diritto umano. «Sorella acqua non è una merce: è un simbolo universale ed è fonte di vita e di salute», ha detto il Papa in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, il 21 marzo. Eppure è forse l’unica grande questione mondiale tuttora priva di un’agenzia, di un protocollo e di una sede di discussione – a differenza, ad esempio, dell’agenzia del farmaco. Human Technopole, il polo scientifico sorto nell’area Expo, di cui il ministro Cingolani è stato tra i principali artefici, potrebbe essere la sede idonea a ospitarla, dando così un’interpretazione democratica e condivisa delle linee guida della Ue.”